Pubblichiamo con piacere un’avvincente ed emozionante testimonianza di Francesco Calculli, direttore della Casa Museo sulla Storia Del Comunismo e della Resistenza, relativa a un episodio avvenuto durante l’occupazione nazista a Matera e che ha per protagonisti i suoi bisnonni, Benedetto e Maria, e il binocolo tedesco nella foto in alto (gentilmente concessa dallo stesso Francesco Calculli).
Nel 1943, fra il 10 e il 20 settembre, nel caos che segue l’armistizio, Matera viene occupata dalle truppe tedesche della Wehrmacht che governano la città con la forza e il terrore, e si rendono protagoniste di spietate rappresaglie nei confronti della popolazione civile. La situazione economica è intanto peggiorata, e Matera è ormai chiusa in una povera autarchia alimentare. I prezzi sono alle stelle per la rarità delle merci e le difficoltà dei trasporti, la speculazione e il contrabbando imperversano.
In questo contesto, con la guerra che continua ad avvicinarsi sempre più, hanno vissuto i miei bisnonni materni, Benedetto Aloisio e Maria Palmieri. Benedetto – soprannominato in dialetto materano “v’ ndutt u’ pannaccer” – originario di Bitonto, dove già possedeva un grande frantoio, era proprietario con la moglie Maria del più importante e frequentato negozio in Via del Corso, di tessuti, stoffe pregiate, abiti da sposa e cerimoniali dell’intera provincia di Matera.
Nonostante le difficoltà del momento, i miei bisnonni si adoperano in ogni modo per tenere aperto il negozio e continuare a svolgere al meglio il loro lavoro di stimati commercianti.
In quei drammatici giorni di Settembre, Benedetto e Maria forse sperano di non essere coinvolti nell’orrore che li circonda, ma quella flebile illusione si dissolve bruscamente davanti alla visione terrificante dei due ufficiali tedeschi che entrano armati di tutto punto nel loro negozio. I due ufficiali guidano un convoglio armato di mezzi blindati, probabilmente in ritirata per l’imminente arrivo in città dei primi reparti di truppe canadesi, e hanno subito impartito l’ordine perentorio ad alcuni soldati di presidiare la porta del negozio, impedendo a chiunque di entrare. Benedetto e Maria sono paralizzati dalla paura per il terrore che quelle divise incutono.
In quei lunghissimi istanti, con le loro vite sospese tra una morte rapida e violenta o, peggio ancora, con la paura di subire le torture e la deportazione in un campo di lavoro forzato – come è già successo a mio nonno – il solo angosciante pensiero che li tormenta è la preoccupazione per la loro unica figlia (mia nonna): chi si occuperà di lei con il marito deportato in Germania, se saranno entrambi uccisi dai nazisti?
Intanto, in quel clima di tensione surreale, i due ufficiali all’interno del negozio guardano le stoffe riposte in modo ordinato negli scaffali e alcuni abiti di pregevole fattura momentaneamente poggiati sul bancone; pronunciano alcune incomprensibili frasi in tedesco e ostentano un’agghiacciante indifferenza nei riguardi dei proprietari. Poi l’ufficiale, che per il suo aspetto sembrava essere il più giovane, accennando un sorriso di circostanza, si avvicina con passo deciso al bancone dietro il quale ci sono “U pannaccer” con sua moglie Maria. Vedendo venire quel militare verso di lui, improvvisamente Benedetto si desta dalla paralisi causata dal terrore di “quella visita inaspettata“, e ritrova il coraggio di chiedere molto garbatamente all’ufficiale se sono interessati a una qualche tipologia di tessuto in particolare. Il giovane ufficiale nazista gli risponde in un italiano stringente e con un tono autoritario che sono venuti con il suo comandante per acquistare molta della merce del negozio, e che hanno poco tempo a disposizione, per cui i miei bisnonni devono obbligatoriamente aiutare i soldati a caricare il quantitativo di abiti e tessuti da portare via nel minor tempo possibile.
Benedetto e Maria non possono fare altro che assecondare le richieste di quell’ufficiale “con il piccolo teschio di morte“, simbolo delle SS posto sopra la visiera del cappello, e assistere impotenti allo svuotamento di metà del loro amato negozio. La mia bisnonna Maria, dopo molti anni ricordava ancora come “quei maledetti tedeschi si presero tutte le stoffe più pregiate e l’abito da sposa più bello e costoso...”.
Caricate le casse con la pregiata merce su uno dei blindati alla testa del convoglio militare, l’ufficiale più anziano e più alto in grado chiede a Benedetto l’ammontare dell’importo da pagare. Maria, che fino a quel momento era rimasta in silenzio, cogliendo di sorpresa sia il marito che lo stesso ufficiale, si pone di fronte ai tedeschi che erano rimasti nel negozio e gli fa capire, anche gesticolando platealmente con le mani, che non c’è bisogno che i due ufficiali paghino la merce, che “i signori portino via quanta stoffa vi piace.” L’ufficiale più anziano, però, insiste nel volere ad ogni costo saldare l’importo e, rivolgendosi a Benedetto con un tono alterato, gli urla: “La mia formazione prussiana impone il dovere di onorare i debiti!“. I miei bisnonni sono di nuovo piombati nel terrore: quel militare prussiano, che fino a qualche istante prima era stato affabile e cortese, adesso aveva lo stesso sguardo glaciale e minaccioso di quando era entrato nel negozio. Maria mi racconterà che temevano “si fosse offeso“. Poi l’ufficiale estrae dalla tasca della giacca una fascetta con banconote delle vecchie lire dell’epoca, le lascia sul bancone e chiede se bastano a saldare l’importo. Benedetto e Maria, paralizzati dalla paura, rimangono in silenzio. Il tedesco, però, capisce – forse da qualche gesto involontario di Benedetto – che le lire nella fascetta non coprono l’acquisto della merce, ma non ha altri soldi per pagare.
Non c’è più tempo: il convoglio militare deve ripartire. I due ufficiali fanno un breve cenno di saluto o di ringraziamento, dirigendosi a passo veloce verso l’uscita del negozio. Poi, mentre sta per entrare nella sua autoblindo, l’ufficiale anziano torna di nuovo nel negozio, si toglie il binocolo che aveva al collo e lo consegna a Maria pronunciando queste parole: “Vi prego, signora, di accettare il mio binocolo come pagamento per tutto il resto.” Maria non saprà mai dirmi con precisione quanto tempo è durato quel saccheggio tedesco del suo negozio, dato che chiunque si trovi in una situazione simile perde la cognizione del tempo, ma si ricorda bene che, quando finalmente i tedeschi se ne andarono, lei e suo marito si abbracciarono. Erano salvi ed era questa l’unica cosa che per loro contava.
Il mio bisnonno Benedetto non l’ho mai conosciuto, dato che è morto per un male incurabile molti anni prima che io nascessi. Nessuno dei suoi eredi è stato in grado di gestire e amministrare in modo fruttifero la sua attività commerciale, per cui il negozio ha dovuto chiudere, e il frantoio di Bitonto è stato venduto per ripagare i debiti pregressi.
Nonna Maria, invece, mi ha cresciuto da piccolo ed è stata per me come una seconda madre. Nonostante avesse superato già i 90 anni quando fu sottoposta a una delicata operazione chirurgica per la rottura di un femore, mia nonna Maria visse fino all’età di 102 anni senza perdere mai la sua lucidità mentale; fino a quando, in un caldo pomeriggio primaverile del lontano 1996, decise di non svegliarsi mai più.
Il binocolo tedesco, con cui da piccolo giocavo insieme a mia sorella, rimane il ricordo più importante di quella drammatica esperienza vissuta dai miei bisnonni nella seconda guerra mondiale. Da alcuni giorni è diventato un cimelio esposto nella nostra Casa Museo sulla Storia Del Comunismo e della Resistenza. Ho deciso di inserirlo nell’itinerario del’esposizione museale, nonostante il binocolo sia appartenuto a un ufficiale nazista, in quanto reputo possa essere utile per ricordare che ogni guerra è sempre un crimine contro l’umanità e come monito per coloro che ieri, come oggi, credono che la soluzione ai problemi del mondo siano i falsi miti del nazionalismo e della difesa della “razza italica“, che presto o tardi finiscono per portare l’umanità sull’orlo del baratro.
Come disse Santayana: “Chi non conosce la storia è condannato a ripeterla”. Oppure, volendo citare il grande Karl Marx: “La storia si ripete sempre due volte, la prima volta come la tragedia, la seconda come farsa“.
Questo articolo ha un commento
Una bella storia di vita vissuta di ufficiali tedeschi a cui serviva della stoffa che nonostante il periodo bellico delicato hanno pagato con i soldi che avevano e addirittura L’ufficiale in capo è tornato indietro per regalare un binocolo per sdebitarsi completamente. Trovo invece l’autore di questo articolo di una faziosità narrativa vergognosa atta a infatizzare la cattiveria dei tedeschi anche quando non c’è motivo. A me raccontavano i miei genitori di soldati tedeschi sempre rispettosi e chiaramente e giustamente, spietati se vengono attaccati da bande armate irregolari come i partigiani di cui sono noti atti criminali, non solo a tedeschi ma che si sono macchiati di crimini anche contro l’italiani stessi durante e a guerra finita.