Le barricate antifasciste di Parma raccontate con un gioco da tavolo al Museo del Comunismo

Scatola del gioco da tavolo "Le Barricate - Parma 1922"

Al Museo del Comunismo e della Resistenza il gioco da tavolo che racconta la storia delle barricate antifasciste di Parma divertendosi.

Articolo di Francesco Calculli

Premessa

Casa Museo “Storia del Comunismo e della Resistenza è orgogliosa di presentare il gioco “Le Barricate per raccontare un importante episodio della lotta antifascista: le Barricate del 1922 a Parma che, oggi come allora, assumono un profondo valore simbolico.Una storia da raccontare ricostruendola attraverso un gioco da tavolo creato per condividere i valori di libertà e democrazia che hanno ispirato le gesta delle donne e degli uomini di allora e che vogliamo tenere vivi nella memoria collettiva. Sì, perché in quei giorni di agosto dietro le barricate resistono fianco a fianco gli arditi di Picelli, i socialisti di Alceste De Ambris, i cattolici come il giovane caduto Ulisse Corazza, anarchici, repubblicani e liberali: un popolo intero senza distinzioni di appartenenza politica o sociale, con un ruolo fondamentale svolto dalle donne e da ragazzini: uno di loro, il quattordicenne Gino Gazzola, sarà una delle quattro vittime fra i rivoltosi.

La Resistenza di Parma

Oltretorrente. Parma respinge i fascisti di Italo Balbo

È l’agosto del 1922. Dopo un anno e mezzo di violenze ripetute e sistematiche messe in atto allo scopo di «finirla per sempre con il terrore rosso» che si annida nelle case del popolo, nelle sedi sindacali, nelle cooperative e nella coscienza civile di braccianti e operai, la battaglia , per i campioni dell’ordine fascista, si può dire vinta. Le squadracce fasciste, a colpi di manganello e rivoltella, hanno fatto dimenticare la debolezza politica del movimento fondato da Benito Mussolini. E hanno raggiunto lo scopo di annullare la capacità di rivendicazione delle organizzazioni politiche e sindacali democratiche, bianche o rosse che siano. A tutto vantaggio dei committenti del lavoro di “ripulitura” : le associazioni degli agrari e degli industriali.

Ma se nelle grandi città italiane, a cominciare da Milano e Genova, incertezze, errori e divisioni dell’opposizione rendono più agevole l’opera delle squadre fasciste, nel cuore dell’Emilia una città intera si oppone all’offensiva delle camicie nere: Parma. Nella città lo «sciopero legalitario» indetto il 31 luglio dal movimento operaio come l’ultimo disperato tentativo di reazione alle violenze subite, sta avendo successo, occorre intervenire.

Italo Balbo, che si è affermato come il più efficiente e brillante capo dello squadrismo ferrarese, è il ras incaricato per punire la riottosità della popolazione operaia parmense all’ordine imposto dallo squadrismo. Giunto nella città la mattina del 4 agosto, Balbo ha a sua disposizione parecchie migliaia di squadristi: alla fine saranno quasi 20000, giunti nel capoluogo emiliano con camion e treni speciali, frutto dell’appoggio concesso dalle autorità. Ma questa volta le squadracce si trovano di fronte un avversario deciso e armato: circa 400 Arditi del popolo , armati di fucili ’91, moschetti, rivoltelle , protetti da barricate. A erigerle è stata la popolazione parmense, soprattutto quella di Oltretorrente, la zona più antica e popolare di Parma. Donne, ragazzi, professionisti, commercianti sostengono la difesa: i bottegai e le classi medie mettono a disposizione viveri e materiale vario. Sono approntati centri di vedetta sui campanili. Si organizzano squadre di otto – dieci uomini, solo la metà con armi ( non bastano per tutti). A guidare i difensori c’è Guido Picelli: il leggendario comandante degli Arditi del popolo, deputato comunista, reduce della Grande guerra. Morirà quindici anni dopo, combattendo in Spagna contro i franchisti. Tra i combattenti, anche un giovane Fernando Santi: nel dopoguerra sarà leader sindacale della CGIL e dirigente socialista.

Fronte distintivo e medaglia dei difensori - insorti di Parma
Distintivo e medaglia dei difensori – insorti di Parma. Collezione Museo del Comunismo e della Resistenza di Matera

 

Retro distintivo e medaglia dei difensori - insorti di Parma
Retro distintivo e medaglia dei difensori – insorti di Parma

I fascisti distruggono due circoli ferrovieri e la tipografia del giornale «Il Piccolo». Ma Parma non si piega. Balbo vola dal prefetto che lo riceve attorniato dalle principali autorità politiche e militari della provincia e pone un ultimatum: entro mezzogiorno le barricate devono essere rimosse. Minaccia: «Se ciò non dovesse accadere, i fascisti, in ottemperanza agli ordini della direzione del partito, si sostituiranno alle autorità dello Stato».

I soldati occupano il quartiere Trinità: vengono accolti dai difensori al grido «Evviva i nostri soldati». Alle 18 Balbo torna dal prefetto per protestare, poi emana un proclama: l’accoglienza riservata all’esercito è «un oltraggio» che va lavato con la violenza. Le camicie nere si lanciano contro i quartieri di Oltretorrente, ma subiscono perdite pesanti, non passano. Per sfogare la rabbia incendiano la sede dell’Unione del lavoro e alcuni studi di noti professionisti antifascisti. Poi riprendono gli assalti, ma sono di nuovo respinti. Mussolini telefona da Roma: è preoccupato, consiglia la smobilitazione. Il 6 agosto Balbo ordina la partenza dei fascisti da Parma, che, per salvare la faccia, cedono la città al controllo militare. Il bilancio di Balbo è un totale fallimento: tra gli assalitori si contano 39 morti e 150 feriti. E la sconfitta brucia anche per Mussolini, che alla vigilia della marcia su Roma, parlerà chiaro: «Non possiamo arrivare a Roma lasciandoci alle spalle una situazione scoperta e pericolosa come quella di Parma».

Giuramento degli Arditi del popolo
Giuramento degli Arditi del popolo

 

Quella di Parma fu la più pesante sconfitta subita sul campo dal fascismo padano nelle sue scorribande omicide. Una sconfitta tanto pesante quanto tardiva. Pesante perché, nonostante i tentativi di minimizzare l’episodio, l’assalto al quartiere operaio di Oltretorrente costò ai manipoli di Balbo morti, feriti e la clamorosa smentita dell’efficienza militare dello squadrismo. Tardiva, perché Parma fu, anche simbolicamente, un’eccezione: sconfitto nelle sue roccaforti del nord, il movimento operaio fu posto in una posizione di isolamento politico che rese possibile l’ascesa di Mussolini al potere.

Tuttavia Parma resta un simbolo importante. A determinare la vittoria contro il terrorismo fascista, fu la capacità di reazione armata della popolazione, unita al di sopra delle differenze politiche e di classe a fianco degli Arditi del popolo, il movimento di difesa nato per reagire alle violenze squadriste. Facendo della battaglia di Parma un episodio della Resistenza, ante litteram. Come Giorgio Amendola ricordò nel 1972 : «È nella sua base unitaria, nella presenza nella lotta di comunisti, socialisti, “popolari”, che le barricate di Parma cessano di essere una battaglia di retroguardia, per diventare un’anticipazione di quel movimento unitario che dovrà costituire la base della Resistenza e della vittoria» .

Il gioco

Le Barricate – Parma 1922” è un gioco da tavolo ideato da Simone Terenziani e dal suo staff di Comelasfoglia che vuole raccontare questo episodio dalla grande importanza storica e farlo rivivere dal punto di vista dei civili dell’epoca.

Il gioco è stato pensato per 2-8 giocatori dai 10 anni in su, con una durata di circa 45 minuti.

Durante la partita i giocatori vestiranno i panni di civili a cui verrà attribuito uno schieramento segreto: simpatizzeranno per gli Squadristi comandati da Italo Balbo (ostacolando la costruzione delle barricate) o sosterranno gli Arditi del popolo guidati da Guido Picelli (contribuendo alla buona riuscita degli sbarramenti); per farlo, saranno chiamati a svolgere delle missioni durante i 5 turni di gioco (uno per ogni giornata) e per ogni missione riuscita sarà possibile posizionare sulla mappa della città un “segnalino barricata”, positivo o negativo a seconda dello schieramento.

Se da un lato concludere rapidamente e con successo le missioni è un aspetto centrale dell’esperienza di gioco, lo è altrettanto cercare di capire chi tra gli altri giocatori è un alleato e chi un avversario, in modo da adottare la migliore strategia.

Lo schieramento con più barricate al termine della partita vince!

Comelasfoglia ha realizzato questo gioco (qui il sito web dedicato) con il patrocinio e il supporto di ANPI e ARCI Parma e la consulenza storica del Centro Studi Movimenti. Questo, insieme alle immagini originali dell’epoca dell’ Archivio storico Amoretti, ha reso possibile affiancare l’aspetto ludico a quello dell’accuratezza storica, arricchendo l’esperienza di elementi, dettagli e conoscenze che i giocatori potranno fare proprie.

Persone intente a giocare a Le Barricate
Gruppo di giocatori con “Le Barricate”

 

Simone Terenziani, autore del gioco “Le Barricate – Parma 1922“, nasce a Parma nel 1985.  È laureato in Comunicazione ed è educatore presso una cooperativa sociale. Si occupa di promozione della cultura del gioco come autore di giochi sia editi che autoprodotti e attraverso l’organizzazione di laboratori nelle scuole, nelle biblioteche e nei centri di aggregazione. È presidente e fondatore dell’associazione di promozione sociale Comelasfoglia, con sede a Parma e attiva dal 2008 e che ha partecipato alle principali fiere di settore divulgando il gioco, da tavolo e di ruolo, come strumento di condivisione di valori e conoscenze.

Guido Picelli, trascinatore e comandante degli Arditi del popolo

Guido Picelli, il “Che Guevara” di Parma

Il 5 gennaio 1937, sulle alture spagnole di El Matoral, una pallottola vigliacca colpiva alle spalle e uccideva Guido Picelli, comandante del Battaglione Garibaldi composto da volontari delle Brigate Internazionali. Fu a Barcellona in una giornata di primavera del 1994, che mi venne raccontata per la prima volta la storia di uno degli oppositori antifascisti più importanti e ingiustamente anche più misconosciuti della storia della Resistenza Italiana. Josè, un vecchio miliziano anarchico che mi era stato presentato da un mia cara amica catalana, mi aveva invitato a casa sua, perchè ci teneva a farmi vedere una fotografia dove c’è «quel comunista italiano, Picelli, il più grande comandante militare delle Brigate Internazionali».

José Carlos mi accoglie con la solita cordialità, ed è subito ansioso di mostrarmi quella fotografia scattata se non ricordo male nei primi mesi di guerra del 1936, dove vicino al leggendario capo dell’anarchismo spagnolo Buenaventura Durruti e ad Andrès Nin segretario politico del POUM , c è un uomo alto che ha un portamento elegante e fiero che incute rispetto. Mi colpiscono gli occhi intensi, luminosi, e magnetici, che hanno solo quelli che sono disposti a sacrificare la propria vita per l’ideale in cui credono; e infatti a me sembrò di vedere lo stesso sguardo intenso che ha il “Che” nella famosissima fotografia di Alberto Korda. Il vecchio anarchico osserva in silenzio, compiaciuto, il mio stupore e la mia emozione, poi in un italiano stentato ma comprensibile mi disse che «con i comunisti stalinisti negli ultimi mesi della Guerra Civile arrivammo allo scontro armato come e anzi peggio che con i fascisti, ma ai funerali di Picelli , qui a Barcellona noi miliziani della Colonna Durruti c’eravamo tutti per rendere onore a quell’eroe purissimo.»

Ma chi era quest’uomo coraggioso, altruista, nobile, libertario e beffardo? Madre portinaia, padre cocchiere, Picelli nasce a Parma il 9 ottobre 1899, cresce nei borghi dell’Oltretorrente, covo di un popolo ribelle. Fa le medie poi va a lavorare come orologiaio. La sua passione è il teatro. Ha 17 anni quando dice alla madre « Metti giu’ il riso che torno». Rimase invece via sei o sette anni, percorrendo tutta l’Italia come attore girovago. Ritornò all’inizio del 1912 e, affacciandosi alla porta di casa, domandò come niente fosse: «Mamma. è cotto il riso?»

Tutta la vita di Guido Picelli fu improntata a questa sua libera visione della vita. Al Partito socialista aderì giovanissimo; decisamente contrario all’intervento dell’Italia nella prima Guerra Mondiale, quando fu chiamato alle armi ed inviato al fronte si comportò tuttavia valorosamente . Fu congedato nel 1919: dalla guerra ereditò una medaglia, il grado di tenente e una ferita alla gamba che l’obbligava a zoppicare; aveva inoltre acquisite alcune nozioni di tecnica militare che gli sarebbero servite alcuni anni dopo. Riapri il suo negozietto di orologiaio, ma la sua mente stava ormai orientandosi in modo deciso verso l’attività politica.

Uno dei problemi sociali più gravi era allora quello dell’assistenza morale e materiale alle vittime della guerra. Guido divenne dirigente provinciale della Lega proletaria mutilati invalidi e vedove di guerra. Ma sulla scena politica italiana era apparso il fascismo. Picelli ebbe subito l’intuizione sicura della natura di classe del fascismo, nonostante la demagogia, le mistificazioni pseudo – sindacali che esso impiegava , specialmente in provincia di Parma, per allargare la sua base di massa. Allo stesso modo egli non aveva alcun dubbio circa la necessità di mantenere l’unità della classe operaia, particolarmente nell’organizzazione sindacale, se si voleva fronteggiare il nuovo pericoloso nemico.

Fu all’epoca dell’occupazione delle fabbriche , nel settembre 1920, che Guido fondò a Parma la «Guardia rossa autonoma», un’organizzazione operaia a carattere militare da contrapporre alle violenze fasciste. I membri di questo corpo erano tutti giovani socialisti, ma agivano in modo del tutto autonomo dalla Direzione del Partito Socialista, la quale ne vedeva anzi con sospetto l’attività. Nonostante le profonde divergenze interne, la «Guardia rossa autonoma» seppe condurre alcune azioni di una certa efficacia, come quella che portò, nell’autunno del 1920, all’occupazione della stazione ferroviaria di Parma per impedire la partenza di convogli militari per l’Albania. In quell’occasione Picelli venne arrestato e rimase in carcere fino alla sua elezione a deputato ( col PSI), avvenuta l’anno successivo. Durante la detenzione di Picelli, la «Guardia rossa autonoma» si era sciolta, ma nel 21′ a Parma e in varie altre città emiliane si formano, in modo spontaneo, gli Arditi del popolo; chiunque poteva farne parte ad un’unica condizione: la volontà di lottare con ogni mezzo contro il fascismo. Picelli intuisce l’importanza degli Arditi del popolo che avrebbero potuto costituire un baluardo valido contro il fascismo, per cui da subito è in prima fila.

Nel 1922 il terrore fascista dilaga. La risposta è debole, le sinistre sono divise quasi ovunque, ma Parma non cede. Il primo Maggio 1922, Guido scriveva sul foglio “Idea Comunista” : «In tutta la Valle Padana, Parma è l’unica zona che non sia caduta in mano al fascismo oppressore. La nostra città, compresa una buona parte della provincia, è rimasta una fortezza inespugnabile, malgrado i tentativi fatti da parte dell’avversario. Il proletariato parmense non ha piegato e non intende piegare..»  In questo senso Picelli sarà sempre ricordato per la BATTAGLIA DI PARMA del 1922, quando sconfisse con 400 Arditi del popolo i quasi 20 mila squadristi fascisti guidati da Italo Balbo.

Fu una vittoria unica, un capolavoro tattico che i due partiti della sinistra marxista socialista e comunista, e le altre forze politiche democratiche nazionali non vollero trasformare in strategia. Così tra errori, settarismi e divisioni, misero il Paese in mano ai fascisti.

La strategia politica di Picelli era racchiusa in due parole: «unità e azione». Con il suo Fronte Unico, composto da anarchici, comunisti, socialisti, cattolici e repubblicani nel 1922 sbaragliò i fascisti. Per primo aveva indicato una via, che sarà percorsa molti anni dopo e con grave ritardo dai partiti antifascisti con la costituzione del CLN ( Comitato di Liberazione Nazionale). Nel 1924, Picelli , che nel frattempo era passato al Partito Comunista, venne rieletto deputato nella lista di “Unità popolare” formata dai terzinternazionalisti e dai comunisti. Il 10 giugno di quello stesso anno Mussolini, ritenendosi ormai sicuro dominatore del Paese, si macchiò di uno dei suoi più efferati delitti: l’uccisione del deputato socialista Giacomo Matteotti. Fece però male i suoi calcoli , perché il Paese seppe ritrovare la propria dignità e un sussulto di indignazione e ribellione scosse profondamente la dittatura mussoliniana che fu sul punto di crollare. Ma l’opposizione non seppe approfittare dell’occasione propizia e si limitò a una sterile condanna morale che permise al fascismo di riprendere fiato e passare all’offensiva. I comunisti, viste respingere dagli altri partiti democratici le loro proposte di chiamare le masse allo sciopero generale e di trasformare l’Aventino in Antiparlamento, decisero di rientrare a Montecitorio per continuare a denunciare da quella tribuna le illegalità ed i crimini dei fascisti e per chiarire i punti essenziali della loro lotta politica.

È in questa volontà di lotta e di orientamento che s’inquadra il gesto clamoroso compiuto da Picelli il primo Maggio 1925. Quel giorno il deputato comunista raggiunse il balcone di Montecitorio, tolse da sotto la giacca una grande bandiera rossa e la legò all’asta di ferro facendola sventolare nell’aria di Roma. La gente seppe così che neppure nel Parlamento trasformato in «bivacco di manipoli» la bandiera rossa era disposta ad ammainare!

Nel novembre 1926, a seguito della emanazione delle Leggi fascistissime, Picelli fu arrestato e condannato a 5 anni di confino che scontò a Lampedusa e a Lipari, dopo sette mesi di carcere a Siracusa e Milazzo. Liberato nel 1931, Guido espatriò in Francia e poi in Unione Sovietica: qui ebbe l’incarico di insegnare strategia militare alla Scuola Leninista Internazionale. Svolse attività politica per il Comintern, tenne i contatti tra gli esuli italiani e collaborò a riviste politiche, ma la sua insofferenza per il nuovo potere stalinista lo fece cadere in disgrazia. Non fu travolto dalle purghe, come tanti altri suoi compagni, ma venne destituito dall’insegnamento e mandato a lavorare in fabbrica, dove comunque venne emarginato e guardato con diffidenza, perché sospettato di simpatie trotzkiste.

Nel 1936, allo scoppio della Guerra Civile Spagnola, Picelli fu uno dei primi a chiedere di partire: dopo un lungo viaggio attraverso l’Europa, ai primi di novembre del 1936, giunse finalmente a Barcellona. Due giorni dopo era ad Albacete, dove si concentravano i volontari dei vari Paesi, che Guido avrebbe personalmente addestrato. I volontari, tra cui c’erano anche molti italiani, avevano un grande entusiasmo, ben decisi a lottare a fondo contro il fascismo, ma, per la maggior parte, mancavano di istruzione militare ed erano insofferenti della disciplina. In poche settimane Picelli seppe trasformare i suoi uomini in perfetti soldati, dando prova di grande capacità e pazienza: «sapeva rispondere, senza offendere, non si stancava mai di ripetere, spiegare, confortare…» ricorderà molti anni dopo uno dei volontari italiani.

In dicembre l’atteso ordine di raggiungere Madrid e quindi il fronte, Guido è comandante di compagnia. Fin dai primi scontri riconferma le sue straordinarie doti militari e assume il comando del Battaglione Garibaldi, quello che i suoi volontari vollero poi chiamare affettuosamente « il Battaglione Picelli».

Libro che raccoglie gli scritti di Guido Picelli, di cui una copia è custodita presso la biblioteca del Museo del Comunismo e della Resistenza di Matera
Libro che raccoglie gli scritti di Guido Picelli, di cui una copia è custodita presso la biblioteca del Museo del Comunismo e della Resistenza di Matera

 

Capodanno 1937: i garibaldini di Picelli sconfiggono i fascisti a Mirabueno e catturano sessanta prigionieri. Guido conduce i suoi uomini all’attacco senza che nulla sfugga al suo sguardo. Si rivela abile, coraggioso, deciso. Il giorno 5 gennaio si ricomincia. Questa volta l’obiettivo è il monte San Cristobal. Il battaglione polacco «Dombrowsky» deve sostenere il peso maggiore dell’azione, mentre i garibaldini sono impegnati nella conquista di alcune alture che proteggono il settore sinistro dello schieramento repubblicano.

Comincia la marcia verso gli obiettivi; si procede faticosamente attraverso un terreno impervio; difficile è il trasporto delle armi pesanti e delle munizioni. Dopo un’ora e mezza i garibaldini giungono ai piedi di El Matoral. Non si sa se in cima vi siano i fascisti. Ad un tratto, dalla sommità del colle si apre la sparatoria: i proiettili sibilano intorno, schegge di pietre volano da ogni parte, ma i garibaldini, con il loro comandante Picelli sempre in testa, superano la resistenza dei fascisti ed occupano la cima. Bisogna subito sistemare la difesa, piazzare le mitragliatrici… Guido dà gli ordini, incita a far presto, aiuta. Ma proprio in quel momento, mentre si rialza dall’aver sistemato un’arma automatica, da una mitragliatrice nascosta su un costone di fronte, a circa 500 metri, parte una raffica prolungata. Il comandante Picelli è colpito in pieno e cade di schianto: la morte è istantanea. I fascisti continuano a battere l’altura e solo a notte sarà possibile recuperare il corpo, che viene riportato a Mirabueno. I funerali, imponenti, si svolgono a Barcellona, in quella città dove era giunto appena due mesi prima, ansioso di combattere.

Sulla lapide soltanto un nome, due date e poi: “DEPUTATO ITALIANO ANTIFASCISTA MORTO PER LA LIBERTA’ DELLA SPAGNA.

Il tempo è trascorso velocemente quel pomeriggio del 1994, devo rientrare in albergo prima che sia notte, ma il vecchio José Carlos mentre mi accompagna alla porta, d’un tratto afferra il mio braccio destro e mi dice fissandomi dritto negli occhi : «Negli anni 20′ e 30′ Picelli fu una vera leggenda per il proletariato internazionale! Devi raccontare la sua storia quando torni in Italia!»

Mi auguro finalmente, a più di 20 anni di distanza da quella mia visita indimenticabile, di esserci adesso riuscito. Per esaltare la grandezza di Guido, basta leggere le sue parole:

Come la luce e l’aria le idee di libertà e uguaglianza penetrano ovunque e nessuna forza può contenerle. La storia non si ferma, essa si compie malgrado tutto; ciò che deve cadere cada, ciò che deve nascere nasca. Sbarrate il corso di un fiume e avrete un’ inondazione. Sbarrate l’avvenire e avrete la rivoluzione“.

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