Dal 20 luglio al 10 settembre 2023, la Momart Gallery ospita la mostra “Oasis” del pittore Nicola Dinoia, a cura di Fiorella Fiore. Sarà visitabile tutti i giorni dalle 11 alle 13 e dalle 17 alle 20, ad eccezione del mercoledì.
Come riporta nel testo critico la storica dell’arte Fiorella Fiore: «La pittura di Nicola Dinoia si offre al visitatore come un caleidoscopio costruito da una sequenza silenziosa di immagini cristallizzate in un chiarore metafisico. Il lessico artistico sul quale si struttura è evidentemente industriale: una lavatrice; una 127 rossa; un materasso; sacchi dell’immondizia; cartoni; lamiere. Ma anche una pianta; echi di immagini che appartengono al percorso intellettuale e artistico di Dinoia (le sue opere sono infatti ricche di citazioni che spaziano dalla storia dell’arte -da Velázquez, a De Chirico – al cinema e alla letteratura). Un repertorio iconografico lontano però da ogni lirismo arcadico o nostalgia struggente. In questo spazio che trattiene insieme una dimensione naturale e i resti della civiltà dell’antropocene, gli elementi sono quelli dell’infanzia trascorsa nell’arsa campagna estiva, ma anche di un quotidiano urbano, e intendono ri-costruire una visione del mondo attraverso l’assemblaggio di singole parti».
Breve bio di Nicola Dinoia
Nato a Matera nel 1972, Nicola Dinoia si è formato presso l’Accademia di Belle Arti di Bologna e poi la Wichester School of Art; vive e lavora a Torino. Vanta diverse mostre personali in Italia e all’estero, in particolare in Belgio dove ha vissuto per 15 anni. Porta in mostra a Matera il ciclo Oasis, con opere dipinte tra il 2020 e il 2022, costituito da un corpus di olii e gouaches sia su carta che su tela, e una serie collages su carta.
Le parole di Dinoia sulla mostra
«In questi dipinti metto in scena composizioni di tipici rifiuti urbani – riporta l’artista – elettrodomestici, sacchi di immondizia, vecchie automobili, cartoni e stracci in cui si nascondono a volte carnevalesche figure umane. Sono una sorta di oasi con oggetti e piante tra paesaggi desolati e metafisici. I cieli sono spesso inquieti e scuri premonitori di qualcosa di inaspettato».
Testo critico di Fiorella Fiore
Ogni città è uno stato d’animo e basta soggiornarvi un po’ perché tale stato d’animo si comunichi, si prolunghi in noi attraverso un fluido che si inietta e si incorpora con le sfumature dell’aria.
George Rodenbach, Bruges la morte (1892)
L’evoluzione artistica di Nicola Dinoia è determinata da una sorta di “geografia affettiva” costruita su Irsina, suo paese natale, il Belgio, dove ha vissuto per oltre 10 anni, Palermo, città dove ha soggiornato dopo il rientro all’estero, Torino, dove risiede attualmente. Luoghi che hanno plasmato il suo sguardo e l’esito anche formale della sua pittura. In particolare l’arrivo a Torino, avvenuto nel 2020, si è legato inevitabilmente alla cronaca della crisi pandemica. L’isolamento imposto dal lockdown ha portato l’artista ad ‘afferrarsi’ alla carta e alla tempera, baluardi alla precarietà del momento e alla costrizione dello spazio del quotidiano forzato in pochi metri quadrati, utilizzando come stratagemma la contemplazione delle cose. Nella pratica ciò si è tradotto in un ripensamento del dispositivo pittorico, costruito su una nuova concezione di figurativo, maggiormente ancorato al reale, sulla semplificazione delle linee e sulla combinazione di pochi elementi essenziali illuminati da una luce obliqua e fredda. Il risultato è il ciclo Oasis.
La pittura di Nicola Dinoia si offre al visitatore come un caleidoscopio costruito da una sequenza silenziosa di immagini cristallizzate in un chiarore metafisico. Il lessico artistico sul quale si struttura è evidentemente industriale: una lavatrice; una 127 rossa; un materasso; sacchi dell’immondizia; cartoni; lamiere. Ma anche una pianta; echi di immagini che appartengono al percorso intellettuale e artistico di Dinoia (le sue opere sono infatti ricche di citazioni che spaziano dalla storia dell’arte – da Velázquez, a De Chirico – al cinema e alla letteratura). Un repertorio iconografico lontano però da ogni lirismo arcadico o nostalgia struggente.
In questo spazio che trattiene insieme una dimensione naturale e i resti della civiltà dell’antropocene, gli elementi sono quelli dell’infanzia trascorsa nell’arsa campagna estiva, ma anche di un quotidiano urbano, e intendono ri-costruire una visione del mondo attraverso l’assemblaggio di singole parti: «In questi dipinti metto in scena composizioni di tipici rifiuti urbani: elettrodomestici, sacchi di immondizia, vecchie automobili, cartoni e stracci in cui si nascondono a volte carnevalesche figure umane. Sono una sorta di oasi con oggetti e piante tra paesaggi desolati e metafisici. I cieli sono spesso inquieti e scuri premonitori di qualcosa di inaspettato» riporta l’artista in una sua intervista.
La convinzione della forza generatrice del gesto pittorico è l’asse dell’arte di Nicola Dinoia, che trascende la mera documentazione di questi oggetti industriali abbandonati e li trasforma in icone di una società in transizione, attraverso suggestioni metafisiche, a tratti dal sapore quasi surreale, che non cedono mai il passo a scenari post-apocalittici. La riflessione costante di Dinoia sull’assemblaggio si palesa anche in progetti in cui il ricorso a tecniche come il collage diventa il manifesto di una necessità di ricomporre testo e contesto, in una frammentazione temporale e spaziale che riesce a mantenersi solida grazie allo sguardo sempre ancorato sul reale.
A fare eco a queste opere sembra esserci l’assunto heideggeriano dell’individuo come di «essere nel mondo», ovvero circondato da cose che a quel mondo appartengono e che sono necessarie per entrare in relazione con esso. Nel lessico di Heidegger ciò si trasforma nell’invito a «prendersi cura» (Besorgen) di «ciò con cui si ha a che fare». Ed è in questo che forse risiede quel qualcosa di ‘inaspettato’ cui fa riferimento Nicola Dinoia: nella scoperta che l’avere cura passa anche per un continuo riassemblaggio, lontano dalla forza entropica e distruttiva, fondato su una costante ricostruzione. Una sorta di gioco infantile, che nel comporre e scomporre elementi suggerisce una diversa esplorazione dei percorsi semantici del tempo reale.