Siamo lieti di ospitare sul nostro sito un nuovo articolo inviato da Francesco Calculli, direttore del Museo del Comunismo di Matera, che riguarda una raccolta antologica di 40 bellissimi manifesti storici del P.C.I. appena acquisti dal museo e in mostra presso i locali della struttura, sita in via Gattini n. 4.
Nell’articolo che segue, ve ne mostriamo 7 in anteprima.
Buona lettura!
Via il regime della forchetta! C’era una volta il P.C.I. attraverso i manifesti elettorali della sua propaganda
di Francesco Calculli
Siamo lieti di poter presentare ai visitatori del nostro Museo una raccolta antologica di 40 bellissimi manifesti storici del P.C.I. (1946–1989), che ci ricordano un percorso accidentato verso la conquista di diritti, e la modernità del nostro Paese, una strada difficile lastricata anche di morti: Melissa, Torremaggiore, Montescaglioso, Modena, e poi quelli di Reggio Emilia; contadini e operai uniti in una difficile lotta.
Una storia visiva che doveva emozionare, e soprattutto rappresentare una vera e propria narrazione al fine di persuadere e comunicare a una massa sempre più vista come un attore politico a livello globale, ai tempi in cui era in atto uno scontro ideologico forte fra cultura comunista e quella cattolica.
Quella dei comunisti è un’originale via italiana al socialismo, una strategia elaborata autonomamente a partire dall’opera di Gramsci, che Togliatti e Berlinguer in tempi diversi hanno cercato di proporre al Paese come l’unica seria alternativa politica al sistema di potere democristiano, e che nei manifesti, nonostante tutto, è rappresentata in prospettiva e come ben lastricata.
I primi manifesti della raccolta (1946-1950) privilegiano il contenuto sulla impostazione grafica, poiché l’urgenza postbellica impone che il popolo italiano conosca il programma dei comunisti per la Repubblica democratica dei lavoratori: un vastissimo programma di lavori pubblici nelle città e nelle campagne, la ricostruzione delle case con l’intervento dello Stato, il percorso di riforma agraria avviato del ministro comunista Fausto Gullo, l’aumento delle pensioni ai vecchi lavoratori, la riorganizzazione dell’assistenza sanitaria, la confisca rapida dei profitti fascisti e di guerra, un grande prestito per la ricostruzione.
Mentre i temi principali dei manifesti degli anni Cinquanta sono la salvezza della pace e della patria come bene appena riconquistato e subito dopo quelli da conquistare: il lavoro, la “terra a chi la lavora“, il riscatto del Mezzogiorno. Temi descritti con immagini della cultura popolare, semplici, dirette: una bambina invita la sua mamma a firmare per la pace, oppure i protagonisti del lavoro nei campi.
Il VII congresso del PCI è tutto uno sventolio di bandiere: la pace, il tricolore, la bandiera rossa. In generale la bandiera della Repubblica, il tricolore, non è mai in ombra o sottovalutata dai grafici.
Il primo dei manifesti firmati è di Aldo Darzi e riproduce la prima pagina de L’Unità che annuncia la vittoria sulla “legge truffa“, una vittoria ricondotta al lavoro del giornale del partito, definito “il giornale che guida il popolo del Mezzogiorno sulla via della pace e della rinascita“.
Famosissima la campagna detta dei “forchettoni” (con un’immagine nata dal marchio di una nota fabbrica di posate), ideata da Giancarlo Pajetta e realizzata dal Centro grafico del PCI (Prati, Brizzi, Battaglia, Steiner e altri).
Per la campagna di tesseramento del 1966, Albe Steiner firma un Lenin in atto di indicare alle masse la via dell’emancipazione. “E‘ ora di cambiare / è possibile cambiare” ancora con il segno di Albe Steiner – in anticipo su Obama! – diventerà uno degli slogan più frequentemente urlati nel 1968.
Renato Guttuso dipinge colombe della pace che seminano bombe, e il disegno è usato da Luciano Prati per un manifesto che ironizza sulla cosiddetta “offensiva di pace” americana nel Vietnam.
A Luciano Prati si deve anche l’uso della celebre foto del soldato americano prigioniero di una minuta donna vietnamita, così come a Guttuso si attribuisce il “falcione” del PCI, e a Bruno Magno i manifesti eseguiti per il divorzio, per la libertà del Cile e quelli altamente drammatici contro gli atti terroristici.
Tra i grafici che in tempi diversi hanno fatto parte dell’Ufficio grafico del PCI si ricordano Bruno Ledda e Gianni Trozzi, ma non vanno dimenticate le donne: Lidia Berlinguer e Tiziana Cesselon.
I manifesti rievocano “l’attacchinaggio“, la guerra dei manifesti fino all’ultimo giorno di campagna elettorale, gli attacchini, i tanti oscuri militanti giovani e anziani che, con una grande forza di volontà e una straordinaria dedizione alla causa del partito, con gioia, passione e spavalderia, e poi dandosi appuntamento per una successiva bella mangiata in osteria, li hanno ritirati, preparato la colla, affissi.
A tutti loro vogliamo dedicare questa raccolta.