Cubo di Rubik del P.C.I. nella collezione permanente del Museo del Comunismo

Cubo di Rubik con stemma del P.C.I. custodito presso il Museo del Comunismo e della Resistenza di Matera

La versione comunista dell’oggetto diventato simbolo di un’epoca e di una generazione entra nella collezione permanente del Museo del Comunismo e della Resistenza di Matera

Articolo di Francesco Calculli, direttore del Museo

Anni Ottanta, quando facevamo il Festival dell’ Unità. Festa di partito, anzi Festa del Partito, ma anche festa popolare, una grande “fiera” dove c’era spazio perfino per un oggetto di culto negli anni Ottanta che, ormai, è diventato il rompicapo più famoso del mondo, che nemmeno con il boom della tecnologia digitale è finito nel dimenticatoio. È il cubo di Rubik o cubo magico nella sua introvabile versione di oltre 40 anni fa con il simbolo del PCI su una delle sue sei facce.

Cubo di Rubik con stemma del P.C.I. custodito presso il Museo del Comunismo e della Resistenza di Matera
Cubo di Rubik con simbolo del P.C.I. custodito presso il Museo del Comunismo e della Resistenza di Matera

La fama di un oggetto culto

Il cubo di Rubik, commercializzato in Occidente proprio a partire dal 1980, nel giro di pochi anni raggiunse una fama incredibile e inarrivabile. Creato da un matematico ungherese, Erno Rubik, a metà anni ’70 in una versione ancora piuttosto spartana, il gioco si diffuse nei paesi dell’est, ma fece il salto di qualità quando i suoi diritti furono acquistati dalla Ideal Toys.

Già nel 1982, a due anni dal lancio in Occidente, ne erano stati venduti ben 100 milioni di pezzi. Perfino i libri che proponevano metodi risolutivi vendevano centinaia di migliaia di copie.

Lo scopo del gioco è molto semplice e già noto ai più. Dato un cubo di cui ogni lato è formato da nove piccoli quadrati di sei colori diversi, bisogna ruotare i lati e le sezioni in modo da ottenere sei facce ognuna con quadrati di un unico colore. La popolarità del gioco è ancora oggi molto alta, tanto è vero che lo si trova (magari impolverato) in quasi tutte le case.

Il cubo di Rubik con stemma del P.C.I. nella sua confezione originale
Il cubo di Rubik nella sua confezione originale

Il falso mito degli anni ’80

Gli anni ’80 sono spesso celebrati, forse al di là dei loro stessi meriti, come l’epoca d’oro della nostra infanzia. Un tempo in cui tutti i cartoni animati erano belli e tutti i giocattoli erano sani. Ma, si sa, così funziona la lontananza, non solo cronologica. Fa sembrare belli e irripetibili anni che invece erano con stili di vita improntati al consumismo, all’esteriorità e allo svago. È il decennio della tecnologia, dell’esagerazione e del narcisismo. Questo, di per sé, merita già una riflessione. Sì, perché i difficili e turbinosi anni Settanta dei cineforum “segue il dibattito”, dell’impegno e dell’autocritica, della strategia della tensione e dello stragismo, della lotta armata e delle grandi manifestazioni di piazza sono di colpo lontanissimi.



Il nostro presente nasce così, nel decennio di passaggio all’era digitale e di revanscismo più inconsapevole che premeditato. A mio avviso proprio il cubo di Rubik divenne il gioco più rappresentativo di quel decennio contraddittorio e innovativo di cui nell’immaginario comune restano la strage di Bologna del 2 agosto 1980, il trionfo dell’Italia ai mondiali di calcio l’11 luglio 1982, i funerali di Enrico Berlinguer a Roma il 13 giugno 1984, il disastro nucleare di Chernobyl la notte del 26 aprile 1986, e la caduta del Muro di Berlino il 9 novembre 1989.

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