Il DEA, il Museo Demoetnoantropologico di Matera

Il DEA, il Museo Demoetnoantropologico di Matera

Una breve storia, come procedono i lavori,  le prospettive future

Testi a cura di Marcella Bruno, Redattrice – Foto di Sergio Lamacchia, Direttore dei Lavori

I Sassi sono una “creazione armonica del minimo fuori dall’artificio”, scriveva, nel 1978 lo scultore Pietro Consagra, inquadrando alla perfezione l’essenza degli antichi rioni che hanno reso famosa Matera.

Consagra avrebbe probabilmente applaudito la direzione intrapresa per il recupero, nel Sasso Caveoso – precisamente tra le terrazze terminali del rione Casalnuovo e il complesso di S. Lucia alle Malve – dei locali destinati dal Comune di Matera al Museo Demoetnoantropologico (DEA).

Una direzione che mira a rispettare il più possibile la forma, la configurazione, i materiali, che hanno permesso, agli antichi rioni materani, di diventare quanto di più vicino ci sia a un esempio di armonica e rispettosa convivenza tra uomo e natura.

Il DEA, il Museo Demoetnoantropologico di Matera
Il cantiere del DEA di Matera

Un museo della cultura popolare di cui si parla dagli anni ‘50

I primi a parlare di un museo della cultura popolare furono due medici, e la cosa non deve sorprendere, considerato il legame privilegiato del medico di base con la comunità e con il territorio in cui opera e lavora. Si tratta di due medici intellettuali che molto hanno contribuito alla rinascita culturale di Matera e del territorio lucano: Mauro Padula, il quale, in un articolo pubblicato su Terra lucana, nell’agosto 1954, raccomanda di individuare un rione dei Sassi in cui creare un “museo etnologico” e Rocco Mazzarone, che, in un dibattito organizzato dal circolo culturale La Scaletta il 23 febbraio 1960 propone “un museo etnologico che [avrebbe potuto costituire] una importante fonte di documentazione per gli studiosi e contemporaneamente una sensibile attrattiva turistica”. È l’epoca in cui i Sassi sono stati appena evacuati e si moltiplicano le proposte e i progetti per la loro rivalorizzazione.

Il circolo La Scaletta continuerà a sostenere la proposta di Padula e Mazzarone, promuovendo seminari, laboratori, gruppi di ricerca, finalizzati a raccogliere fonti e materiali per la nascita del museo. La sede fu individuata sin da subito nell’area circostante il complesso rupestre di Santa Lucia alle Malve; l’idea era quella di un’istituzione che raccogliesse oggetti di interesse demologico, per ricostruire la vita e la storia di quelle abitazioni prevalentemente scavate nella roccia, uniche al mondo.



Il dibattito venne ripreso negli anni Novanta, quando la Fondazione Zetema, nelle figure del suo presidente Raffaello De Ruggieri e del professor Michele D’Elia, incaricò l’antropologo Giovanni Battista Bronzini, tra i principali protagonisti degli studi demologici italiani nella seconda metà del XX secolo, di redigere un piano di fattibilità del museo nell’area del rione Casalnuovo; fu proprio Bronzini a proporre l’elegante e classicheggiante nome DEA, un museo della civiltà non solo contadina, ma un’opera che delineasse il complesso dei caratteri della popolazione, muovendo dallo studio del suo passato, dei mestieri praticati dagli abitanti e delle sue tradizioni popolari.

Le ricerche promosse da Zetema e coordinate da Bronzini, andarono di pari passo con il secondo Programma Biennale di attuazione della Legge speciale 771/86 per la salvaguardia e la rivitalizzazione dei Rioni Sassi e del prospiciente Altopiano murgico (1994 – 1996), che prevedeva il “Parco/Museo Demo – Antropologico al Casalnuovo”.

L’inizio dei lavori

Dopo alcuni lavori effettuati negli anni 2017 – 18, il cantiere attuale ha avuto inizio a febbraio 2021, con i fondi previsti dal CIS Matera 2019, che include “interventi infrastrutturali e di valorizzazione del sistema dell’offerta turistico-culturale del capoluogo lucano”; interventi di cui Invitalia è il soggetto attuatore. La data di consegna è giugno 2022, ma è in corso di redazione una perizia di variante, per cui si stima che possa esserci una proroga per fine anno.

Il DEA, il Museo Demoetnoantropologico di Matera

La nostra visita ai cantieri del DEA

In una suggestiva mattinata di fine aprile, con i Sassi nascosti dalla nebbia, ma colorati da molteplici specie di fiori, abbiamo avuto la possibilità di visitare i cantieri, grazie a una guida d’ eccezione: l’architetto Sergio Lamacchia, coprogettista, direttore dei lavori e responsabile della sicurezza.

L’architetto ci ha accompagnati tra cisterne, grotte, cortili, pluviali, comignoli, mangiatoie, palmenti che danno forma a una superficie di quasi 3000 mq nel rione Casalnuovo, spiegandoci gli interventi ultimati, quelli da completare e la destinazione degli spazi.

Ci troviamo evidentemente di fronte a una struttura architettonica estremamente delicata e complessa, dove occorre procedere con cura e cautela, considerati i secoli di storia che essa ha alle spalle, quella cura e quella cautela che si leggono chiaramente nei sorrisi fieri degli operai che abbiamo incontrato nel nostro percorso.

La linea guida delle operazioni di ristrutturazione e restauro è quella di modificare il meno possibile un contenitore museale di incredibile eccezionalità, essendo esso stesso anche contenuto del museo, affinché, nelle parole dell’architetto, “non vengano alterati i segni che lo hanno generato e che lo hanno inspessito culturalmente nel corso dei secoli”.

Costante è il monitoraggio e la supervisione della Soprintendenza Archeologica Belle Arti e Paesaggio della Basilicata e fondamentale la collaborazione e il coordinamento tra le diverse professionalità: architetti, ingegneri, operai, archeologi e restauratori lavorano, quotidianamente, fianco a fianco per garantire l’accurata rivalorizzazione degli ambienti.

Si sono per esempio resi necessari interventi di ricucitura/ricollocamento di blocchi di roccia in fase di distacco dalla parete e ciò è stato possibile grazie a iniezioni di malta a base calce e fibre di acciaio inox. Su questa operazione si è, successivamente, inserita la consulenza dei restauratori che, in sinergia con gli architetti, si sono occupati della revisione cromatica, valutando quali fossero, nei diversi punti, i toni più adatti per garantire una continuità di colori che risultasse naturale e non artefatta.



Accurato è stato il recupero delle forme originarie dei comignoli, allo scopo, nelle parole dell’architetto Lamacchia di “riattribuire quella ricchezza formale originaria agli immobili”.

Sorprendenti sono poi le scoperte delle sovrapposizioni architettoniche che rimandano alle diverse epoche storiche di cui i Sassi sono testimoni. In fase progettuale, per esempio, erano stati individuati tre ambienti i quali uniti, non considerando le pareti di separazione, evidenziavano una planimetria assimilabile a quella di altre chiese rupestri del territorio materano, ipotesi che è stata validata in fase di lavori, quando, eliminate le pareti divisorie, è venuta fuori quella che, con tutta probabilità era, appunto, una chiesa, successivamente trasformata in abitazioni, cantine o ambienti di lavoro.

Sono questi solo alcuni degli esempi che testimoniano la complessità delle operazioni restaurative e conservative in un’area straordinaria.

Quello che sarà il percorso narrativo del DEA

E veniamo a quelli che saranno, presumibilmente, i contenuti di un percorso narrativo, in parte già delineato, ma che renderà necessario reclutare altri professionisti, quali storici e antropologi, i quali andranno ad aggiungersi a chi ha operato in fase progettuale o è già attivo sul cantiere.

Saranno quattro i livelli principali sui quali si articolerà il museo:

  • I livello, cosiddetto “troglodita”, in cui il DEA sarà “museo di sé stesso” e gli interventi sulla struttura si limiteranno a ripulitura, sfalcio e diserbo;
  • II livello, dedicato alle esposizioni temporanee e permanenti;
  • III e IV livello, per le installazioni multimediali.

I contenuti esatti del percorso sono ancora in via di definizione, ma l’auspicio è che, completati i lavori, il contenuto, scientificamente raccolto e vagliato, composto da antichi oggetti di uso quotidiano, fotografie, documenti cartacei, documenti sonori sulla tradizione orale, testimonianze orali audio-video, ricostruzioni e percorsi multimediali, renda il DEA un museo dinamico, interessante agli occhi di studiosi, visitatori e comunità locale.

Il museo sorto nei luoghi di alcune delle storie che racconterà non farà certo rinascere la città del passato, ma ci permetterà di approfondire le vicende che hanno portato allo sviluppo della peculiare cultura dei suoi abitanti. Sarà l’indispensabile strumento per conoscere qualcosa in più di noi stessi e per permetterci di dare un valore al nostro futuro.

Nelle parole di Giovanni Battista Bronzini: “Un museo della cultura popolare non deve essere un luogo di raccolta di cose morte, deve essere e porsi come un centro propulsore non solo di attività culturali ma anche un centro dinamico di cultura e di vita popolare che mantenga i collegamenti tanto con altri musei quanto con i portatori di folclore, con i personaggi del mondo popolare, con i luoghi e la realtà in cui la cultura popolare vive e si crea”.

Facebook
Twitter
LinkedIn
WhatsApp
Email

ti potrebbero interessare i seguenti articoli

Lascia un commento