di Carlo Magni
Matera, con i Sassi e la Murgia, rappresenta una delle culle mondiali della civiltà rupestre e dell’architettura ipogea, soprattutto con il sistema diffuso di cisterne dei suoi antichi rioni, i Sassi, che ha contribuito a far diventare Matera patrimonio mondiale dell’umanità nel 1993. Quest’anno sono in corso di svolgimento alcuni progetti – inseriti nel programma di Matera 2019 – che mirano a far conoscere la cultura ipogea non solo alle migliaia di turisti che, in questi mesi, raggiungono Matera, ma anche ai tanti materani che poco conoscono del patrimonio culturale e architettonico della propria città.
Dopo aver parlato di Ars Exacavandi, è la volta del progetto Padiglioni Invisibili. Realizzato in coproduzione da Fondazione Southeritage e Matera 2019, esso ruota attorno alla riqualificazione di alcune delle architetture ipogee della città di Matera. Lo scopo è quello di proporre una riflessione sulla responsabilità dell’estetica, dell’architettura e della ricerca artistica nel processo di creazione, rigenerazione e riqualificazione di luoghi ipogei.
L’obiettivo di Padiglioni Invisibili va oltre la pura ricerca artistica: si tratta di mettere a disposizione dei cittadini degli spazi che possano diventare nodi architettonici cruciali per far incontrare materani e visitatori e farli discutere di questioni importanti per il territorio, trasformando Matera in un laboratorio interdisciplinare a cielo aperto per l’architettura, le scienze sociali e la pianficazione. Un po’ ciò che avrebbe voluto fare Adriano Olivetti negli anni successivi allo sfollamento dei Sassi.
Questa riflessione viene proposta attraverso la sensibilità dell’arte, con installazioni in situ presso i suggestivi ambienti ipogei di Palazzo Viceconte, che ospitano anche il Museo per la Fotografia “Pino Settanni”. Le installazioni, realizzate da diversi artisti di fama nazionale e internazionale, offrono l’opportunità di vivere un’esperienza emozionale e sensoriale in ambienti scavati nella roccia, vivendo in prima persona la rigenerazione e l’acquisizione degli spazi e dei luoghi ipogei.
Padiglioni per iperstrutture invisibili
Fatta questa doverosa premessa, parliamo ora di ciò che ho vissuto durante le visite alle prime due mostre di Padiglioni Invisibili, per l’esattezza quelle degli artisti Andrew Friend, John Bock, Riccardo Arena, Rob Pruitt, Tomaso Binga e Maurizio Mochetti.
Dunque, come ogni esperienza artistica che vivo, anche in questo caso ho lasciato che a guidarmi nella visita delle installazioni non fossero le gentilissime guide del Museo “Pino Settanni” ma solo il mio sentire e la mia completa ignoranza in materia di critica dell’arte.
Alcune delle installazioni visitate avrebbero di sicuro richiesto una competenza in materia per apprezzarne a pieno concetti e lavoro espressi dagli artisti, ma devo dire che i suggestivi locali ipogei di Palazzo Viceconte hanno di sicuro aiutato, me come altri visitatori, a gustare le dolci prevaricazioni che certi tipi di arte effettuano sull’animo umano.
Per esempio, la video installazione di John Bock, intitolata “Schwachomat”, è un monologo in una lingua incomprensibile (poi ho scoperto che si trattava di parole senza senso proferite dall’artista, che è tedesco) che causa, in un primo momento, un certo spaesamento dovuto all’illogicità delle situazioni in video e nelle installazioni nella sala che ospitava il monitor su cui veniva trasmesso il video: un ammasso di cianfrusaglie che, in un primo momento, mi ha fatto credere di essere nel deposito del museo.
Oppure la fontana con cartoni d’acqua Evian, installata nella sala D del Museo, opera dell’artista americano Rob Pruitt e intitolata “Evian Fountain”, appunto: in quel caso parliamo di una sorta di piscinetta con acqua che sgorga dal centro. La compattezza della fontana, grazie ai cartoni di acqua che bloccano la fuoriuscita del prezioso liquido, è un chiaro riferimento alla tutela di preziose risorse ambientali per il futuro stesso del genere umano. Simbolismo della fontana ulteriormente arricchito dal fatto di trovarsi nel cuore della città di Matera in cui, nel corso dei secoli, l’uomo ha saputo costruire un imponente sistema di cisterne per lo stoccaggio idrico.
Un’altra opera che di sicuro ha catturato la mia attenzione è stata “Domus Aurea” dell’artista Tomaso Binga (alter ego della salernitana Bianca Pucciarelli), con stampe digitali su tela del suo corpo nudo installate presso la sala B del museo “Pino Settanni”. Le stampe rappresentano segni alfabetici riprodotti con i movimenti del corpo, trasformando quest’ultimo in un segno che si fa anche gesto. Le lettere riprodotte dall’artista sono dieci: esse riproducono, a loro volte, il nome dell’installazione, Domus Aurea.
Più onirica è la visone di Maurizio Mochetti, artista romano che, con l’utilizzo di laser, costruisce un codice luminoso che non ha dimensione ma invade gli ambienti in cui viene proposto. Lo spazio, insomma, si piega alle esigenze artistiche e significanti delle quattro opere laser installate nelle sale C e D.
Alla fine furono luce, pietra e suono
Le opere di Padiglioni Invisibili, insomma, ci guidano attraverso un percorso sotterraneo da esplorare realizzando il desiderio di materializzare l’immateriale. Le installazioni di sicuro offrono attimi di percezione individuale e collettiva, collimanti da momenti onirici in cui pietra, luce suono si incontrano per un baccanale moderno che disarma gli spazi limitanti del mondo.