Dal 25 luglio al 7 gennaio 2024 il MUSMA – Museo della Scultura Contemporanea Matera ospita la scultura Forme uniche della continuità nello spazio (1913) di Umberto Boccioni: si tratta di una scultura iconica del futurismo italiano, movimento per il quale funge da simbolo e manifesto. L’opera è accolta al MUSMA all’interno del programma “Opera d’onore“, il ciclo di sculture d’eccezione ed emblematiche della storia della scultura internazionale, ospitate per periodi più o meno brevi all’interno delle sale del museo, a cura di Antonio Calbi. La scultura proviene dalla collezione di Roberto Bilotti Ruggi d’Aragona di Roma e la sua esposizone a Matera è promossa dalla Fondazione Zétema di Matera. Copie della stessa scultura sono presenti al MOMA di New York, alla Tate Modern di Londra, al Museo del Novecento di Milano.
L’opera che il MUSMA ospiterà è una delle sei fusioni in bronzo autorizzate dalla famiglia Marinetti, ratificate da Ala Marinetti e dichiarate di interesse storico e culturale con un decreto ministeriale del maggio 2013.
Forme uniche della continuità nello spazio: caratteristiche e significati
Forme uniche della continuità nello spazio rappresenta una figura umana nell’atto di muoversi attraverso lo spazio. La figura è rappresentata mentre fa un movimento in avanti, con il busto piegato in direzione del movimento. Nonostante il movimento la figura è salda a terra e la gamba destra, posizionata in avanti, è leggermente piegata nell’atto di muoversi, mentre la gamba sinistra, posizionata posteriormente, è distesa.
La scultura rappresenta una persona che si sta muovendo, ma come ogni opera futurista la figura che si vede è distorta dal movimento, tanto da non avere le braccia e sembrare scomposta. Guardando lateralmente Forme uniche della continuità nello spazio si possono distinguere chiaramente muscoli e articolazioni come i polpacci e le ginocchia della persona. Ogni muscolo inoltre sembra essere riprodotto più volte, come nelle fotografie che ritraggono oggetti in movimento che appaiono sfocate e come nelle scie di colore che Boccioni realizza nelle sue opere, ad esempio in La città che sale, per creare movimento. La vista frontale dell’opera invece mette in evidenza le forme in fase di torsione, che rendono il corpo aerodinamico ed energico, capace di dividersi nel movimento e di creare un insieme con l’ambiente circostante, che sembra anch’esso in movimento. La figura si adatta allo spazio che la circonda e sembra modellata dall’aria, per questo sul suo corpo si possono vedere zone concave e zone convesse, che rendono la scultura irregolare e dinamica. Le irregolarità del corpo creano anche dei giochi di luce, che risaltano sul bronzo scuro della scultura e la rendono simile ai quadri futuristi di Boccioni, con zone chiare e zone scure molto evidenti.
L’opera originale di Boccioni è in gesso patinato, e non è mai stata prodotta la rispettiva copia in bronzo nel corso della vita dell’autore. La scultura originale è oggi esposta a San Paolo del Brasile, al Museo di Arte Contemporanea.
Biografia di Umberto Boccioni
Nato a Reggio Calabria nel 1882 e morto a Verona nel 1916, Umberto Boccioni è stato uno dei massimi esponenti del movimento futurista italiano, autore insieme a Filippo Tommaso Marinetti del Manifesto tecnico del movimento futurista e, un anno più tardi, del Manifesto dei pittori futuristi. E’ autore di alcuni capolavori della pittura futurista come La città che sale (1910), Forze di una strada (1911), Stati d’animo (1911), Materia (1912) e del testo teorico Pittura e scultura futuriste, del 1914. Le nuove idee del movimento futurista di primo Novecento, sia nel mondo dell’arte che in altri settori, sono l’abbandono della staticità per accogliere il dinamismo, l’abbraccio delle nuove tecnologie come la macchina, l’esaltazione dell’industria, la ribellione rispetto alle precedenti forme d’arte.
A partire dal 1912, Boccioni decide di espandere la sua arte ad altri ambiti e non limitarla alla pittura. Inizia così a realizzare la sua opera, che terminerà un anno dopo, nel 1913. Con Forme uniche della continuità nello spazio l’artista allarga i concetti futuristi tipici della pittura al mondo della scultura, rendendo la sua arte ancora più dinamica. La grandezza di quest’opera risiede nel fatto che Boccioni riprende le teorie futuriste sul movimento e sul dinamismo, applicate alla pittura, e le applica alla scultura, modificandone le caratteristiche tradizionali. Inoltre Forme uniche si ispira anche ad alcuni scritti di Filippo Tommaso Marinetti, secondo cui l’uomo non solo deve accettare le nuove tecnologie, ma deve anche fondersi con esse. Marinetti infatti ipotizzava un superuomo meccanico, una fusione tra uomo e macchina, capace di muoversi a velocità estreme. Nella scultura Boccioni sembra riprendere l’idea del superuomo meccanico, infatti l’uomo richiama il movimento degli ingranaggi meccanici e le sue azioni sembrano modellate dall’aria.
Testo critico di Antonio Calbi, curatore dell’esposizione
Accogliere quale ospite d’onore del MUSMA la scultura più iconica del Futurismo, Forme uniche della continuità nello spazio di Umberto Boccioni, è un evento per il museo e per Matera. Questa scelta origina da due ragioni.
La prima è quella di voler arricchire ancor di più le collezioni del museo e le sue attività esponendo opere uniche, emblematiche della ricerca di uno scultore, di un’epoca, di un movimento. Ecco perché inauguriamo, oggi, il ciclo “Scultura d’onore” con la celebre scultura creata da Boccioni nel 1913.
La seconda ragione è che ho da sempre avvertito un forte legame, seppure segreto e quasi intimo, fra la scultura di Boccioni e la città dei Sassi, e fra i loro modi diversi di essere “plastici”. La prima è la sintesi di figura umana e movimento nello spazio, e con un sol gesto, una sola opera, si archivia sia l’idealismo classico, dei greci e dei romani fino a Canova, passando per il Rinascimento di Michelangelo e il Barocco di Bernini, sia l’espressionismo di certi movimenti che hanno voluto sondare più in profondità le anime e le psicologie delle figure umane ritratte, introducendo una più marcata dimensione emotiva, nella materia scolpita o plasmata, e di conseguenza nello spettatore, e penso a Auguste Rodin e al nostro Medardo Rosso.
Il movimento è l’essenza stessa della vita umana e di quella delle altre forme viventi del pianeta, compreso il regno delle piante. Veniamo al mondo gemendo o sbraitando, guizzando con le piccole gambe e braccia. Anche il primo respiro è movimento, una volta lasciato il liquido amniotico del grembo materno e preso il largo della vita, reciso il cordone ombelicale che come un ormeggio ci teneva ancorati al corpo di nostra madre.
L’uomo in marcia di Boccioni è senz’altro una delle espressioni più eloquenti e plastiche del Manifesto Futurista e dell’intera ricerca artistica del Novecento sul corpo, al punto che la sua silhouette è stata scelta per rappresentare l’Italia sulle monete da 20 centesimi dell’euro.
Il corpo vi è ritratto in completa fusione con il movimento che sta compiendo – una camminata decisa, senza dubbio – e in osmosi piena con lo spazio che l’avvolge, l’atmosfera stessa che lo contiene. Questa camminata è un incedere deciso, audace, pieno di ardimento. Ha il sapore quasi della marcia militare o comunque di un procedere eroico e vittorioso. Ne risulta una forma umana trasfigurata, i cui i muscoli di gambe e braccia, la solidità del torso, i dettagli della testa, delle mani e dei piedi si dissolvono nel movimento stesso e nell’aria che sommuove. In questa scultura i pieni e i vuoti si confondono, confluendo gli uni negli altri, cosicché guardare l’opera può suscitare tensione e dramma ma anche leggerezza e ironica sorpresa, accendendo un conturbante stupore.
Così come Matera è il risultato di un’opera di scavo di secoli e secoli nel ventre della terra, anche la scultura di Boccioni è l’opera di scavo della forma e dello spazio. In entrambi i casi – la città scolpita e la figura umana in marcia – si tratta di partiture di pieni e di vuoti, di parti in ombra e di parti in luce.
È per queste ragioni che ho avvertito come necessario e predestinato l’incontro fra questa scultura iconica, e al tempo della sua creazione rivoluzionaria, e la città di Matera. È l’occasione di far dialogare – in un fatto che ha le sfumature dell’eccezionalità – la Storia millenaria, contro cui si batteva il fervore del Futurismo, e una nuova idea dell’arte, della sua funzione e della sua ricerca costante. Ed è un bel match quello fra la solidità protettiva delle abitazioni ricavate dalla pietra tufacea e un futuro di cui poco si poteva allora sapere, se non che sarebbe stato molto diverso da ciò che con furore si voleva a tutti i costi lasciare alle spalle.
Boccioni scelse di dare concretezza alla sua inedita idea di scultura con un materiale più docile e umile come il gesso, escludendo il marmo e il bronzo della tradizione. Boccioni morì prematuramente, per i postumi di una caduta da cavallo, lasciando in eredità il gesso, oggi al museo di San Paolo in Brasile. Da quel gesso furono tratti gli stampi per le successive fusioni in bronzo, promosse dallo stesso Marinetti e che sono continuate fino a oggi, in un percorso complesso che fanno di questa scultura un “caso” nella storiografia dell’arte del Novecento. In fondo si potrebbe quasi classificarla come scultura “apocrifa”. Non di meno si tratta di una delle sculture più potenti e stupefacenti dell’intera ricerca artistica delle avanguardie del primo Novecento.
La figura antropomorfa fusa nel bronzo brunito per volontà di Marinetti dal gesso col quale l’aveva realizzata Boccioni si staglia oggi, grazie al prestito di Roberto Bilotti Ruggi d’Aragona, negli ambienti costruiti di tufo chiaro di Palazzo Pomarici. Sorprendendoci ancora, interrogandoci come solo certe opere d’arte riescono a fare.