di Carlo Magni
Penso che l’arte abbia, spesso e volentieri, il gravoso compito di metterci di fronte alle nostre paure e ai desideri più profondi. Ecco perché ogni volta che scrivo di una mostra che visito – da non esperto – esprimo semplicemente a parole ciò che ho provato con i sensi e sulla pelle durante la visita.
La mostra dello street artist Luis Gomez de Teran è turbine di sogni irrequieti, intimi, che chiedono al visitatore di ricercare un significato più profondo nelle scene inquiete che le sue opere rappresentano.
Una via d’uscita onirica dall’inquietudine
Nelle sue 6 opere esposte al Musma per la mostra “Anche quando l’alba non c’era” e realizzate durante la sua residenza artistica proprio negli spazi di questo museo, nel 2017, l’artista pone il visitatore dinanzi a paure e riflessioni a prima vista oscure, pur concedendo sempre un’onirica via d’uscita.
Le 6 installazioni in plexiglass e cemento di Luis Gomez de Teran si integrano e fanno a pugni al tempo stesso con gli spazi ipogei del Musma. Non vi nascondo che, mentre mi recavo nell’ambiente che ospita l’installazione Palpebre, nell’ipogeo 3, scorgendo il viso della figura rappresentata – lasciato intravedere dalla tenda che protegge quel luogo – ho pensato di trovarmi in un obitorio, tanto forte e diretto è stato il contatto con lo sguardo di quella mezza figura accennata e stesa sulla fredda pietra che la ospita. Un telo che sembra di un tempo remoto sovrasta la figura, quasi a volerne nascondere l’inquieta posa.
Oppure lo sguardo quasi ammiccante dell’opera Sotto la mia pelle, che tenta di concupire il visitatore senza nascondere la sua parte più torbida e malsana, in bell’evidenza nello specchio posizionato alle sue spalle. Uno squarcio nella schiena di lei, quasi a voler rappresentare un esame autoptico dell’essenza più profonda dell’animo umano.
Andare oltre la paura
Per i più impressionabili, voglio precisare che non ho trovato la mostra di Luis Gomez de Teran inquitante: lo so, il mio accenno a squarci, obitori e ipocondriache paure della morte farebbe supporre il contrario. La realtà è che l’artista, a parere mio, voglia farci andare oltre la metafisica della paura, lasciandoci scorgere singole realtà in ogni anfratto delle sue opere. Venendo al buio (si tratta di una mano che punta verso il taglio inciso su una grossa pietra), per esempio, mi ha evocato la ricerca di un contatto umano più profondo, che sappia incidere davvero tonalità emozionali nelle nostre vite.
Un po’ quello che, in fin dei conti, tutti cerchiamo.